sabato 2 maggio 2020

Letture: Apologia del Taoismo, di Giuseppe Tucci

Giuseppe Tucci è stato il più grande orientalista italiano dello scorso secolo: a partire dal 1933 e fino ai tardi anni '70 ha esplorato e diretto scavi archeologici in Tibet, Ladakh, Nepal, Afghanistan, Pakistan e Iran, lasciando in eredità un vasto patrimonio sia intellettuale, con i suoi scritti, che materiale, con preziose collezioni di manoscritti, sculture e oggetti, confluite nel Museo di Arte Orientale intitolato a suo nome, prima ospite del Palazzo Brancaccio a Roma e oggi trasferito, con qualche rimpianto, all'EUR.

Il nucleo centrale del suo interesse è sempre stato il Buddhismo e la storia, arte e cultura del Tibet, di cui è considerato uno dei massimi esperti. Questo suo piccolo libro, una settantina di pagine in tutto, pubblicato per la prima volta nel 1924 e recentemente aggiunto dalla Luni Editrice al suo ricco e interessante catalogo, offre una agile e appassionata lettura del pensiero del Taoismo delle origini, quello di Lao Tzu (Lǎozǐ), Chuang Tzu (Zhuāngzǐ) e Lieh Tzu (Lièzǐ), e può costituirne una valida introduzione, resa ancora più interessante dal profilo dell'autore e dal periodo in cui è stato scritto, a cavallo tra le due guerre.

Non si tratta infatti du un asettico bignami del pensiero taoista, ma piuttosto di una accorata apologia di una visione della vita per cui l'autore simpatizza e parteggia, soprattutto nei suoi aspetti di ribellione al conformismo sociale, al ritualismo e al cerimonialismo tipici del confucianesimo e di profonda comunione con la natura e i suoi ritmi di continuo cambiamento, con cui l'adepto del Tao (la Via) mira a identificarsi. Il Taoismo, spiega Tucci, non è un sistema religioso basato sulla credenza in un Dio più o meno antropomorfo cha ha posto l'uomo al centro della creazione, ma
"il Tao, che è infinito ed eterno, è lo stessoo divenire, che diviene per sua necessità immanente. Esso non è già un Dio che crea un mondo fuori di sé, cui imprime un moto iniziale che nelle sue fasi ulteriori da lui più o meno dipende - ma è l'universo stesso nelle sue forme infinite e successive, nella sua continuità, nella usa infinita e spontanea energia creatrice."
In questo Tucci intravede una critica radicale a qualsiasi forma di teleologia, di intenzione superiore orientata al ragiungimento di un fine, tipiche delle religioni monoteiste: semplicemente il Tao è, l'universo è, e l'uomo superiore è colui che adegua la sua vita al respiro dell'universo, al gran divenire cosmico.
"Il santo, l'uomo superiore, è al di là di ogni dolore, non solo perché ha vinto, superato tutte le emozioni e tutte le passioni, ma anche perché ha realizzato nella sua norma di vita la perfezione; ed è perfetto in quanto vive in piena consonanza ed armonia col tutto."
Il saggio taoista agisce secondo il principo del Wu-Wei, del non-fare, del non interferire con il naturale divenire delle cose, il suo fare è un sincronizzare il proprio battito con quello del Tao, un principio che Tucci sente come un ammonimento alla hibris dell'uomo contemporaneo e che oggi, a quasi un secolo di distanza, suona ancora più attuale:
"Quest'ideale quietistico ed ascetico può ripugnare alle nostre ormai inveterate convinzioni, per le quali il valore dell'uomo è stimato in ragione diretta della sua operosità. Il Rinascimento ci ha abituati a considerare infatti l'umanità, non più come la schiava di una provvidenza suprema, e neppure come una forza bruta che ubbidica a leggi imperiose e necessarie, ma come una libera attività capace, non già di subire la natura, quanto piuttosto di dominarla.
Nessuno vorrà non riconoscere gli innegabili vantaggi che una tale concezione ha arrecato. Ad essa si devono le conquiste della scienza, le migliori condizioni materiali e pratiche della vita. Ma per tutto questo che abbiamo guadagnato, quanto non abbiamo perduto? Ed i progressi tecnici o scientifici rappresentano veri progressi, quando ad essi non s'accompagni una raffinata sensibilità etica, un miglioramento dei costumi, un ravvivamento del senso religioso? C'è in fondo più da temere della vichiana barbarie della riflessione che non della placida ascesi del monaco buddhista o taoista. L'ultima immane guerra sta a dimostrarci quanto diverse siano le strade dell'intelligenza e del cuore e come la scienza, se messa a servizio di cause cattive, sia piuttosto da deprecare che da celebrarsi."
Vi sono altri due elementi del pensiero taoista per cui l'autore simpatizza, una è il considerare l'uomo e gli animali su un piano di sostanziale parità morale, una sorta di ecologismo ante-litteram, laddove "il Cristianesimo, salvo la sublime eccezione di san Francesco, sembra non abbia per il mondo animale che noncuranza e, per bocca di alcuni suoi filosofi [...] ci ha abituati a credere che le bestie siano né più né meno che cose". L'altro è l'atteggiamento non-teistico e anti-consolatorio, profondamente scientifico, del taoismo rispetto alla morte:
"Il taoista è sicuro di non andare incontro a nessun Dio, sa che bene e male non sono già cose reali, ma che esistono soltanto nella mente di chi non ha intuito la verità e che per nulla quindi possono influire sulla sorte che attende gli uomini alla loro dipartita. La morte dell'individuo è un fatto naturale, né più né meno come la nascita e come la vita: la morte succede alla vita e la vita alla morte in un continuo fatale divenire attraverso cui si svolge la legge del Tao."
Nel Taoismo, non dissimilmente che nel Buddhismo, l'uomo assume completamente su di sé la responsabilità della sua vita:
"Quindi il summum bonum, ossia in altre parole la felicità, non è più una problematica grazia divina, né il favore di un dio placato dalle nostre preghiere o dai nostri sacrifici, ma l'esclusiva opera nostra, il frutto della nostra sapienza."
Un invito a lavorare su se stessi, a prendersi cura della propria mente e del proprio corpo, e soprattutto a prestare orecchio al divenire dell'universo, di cui siamo infinitesima parte.

Pino Creanza

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